?️ Riccardo Fochesato, Benjamin Gallinaro
La consapevolezza delle proprie strategie di coping ci permette di arricchire e rafforzare il nostro senso di “Agency”, ovvero la sensazione di poter efficacemente intervenire sulle circostanze (sia attraverso l’azione, che attraverso le nostre abilità cognitive e metacognitive), in maniera volontaria e attiva, per favorire l’ottenimento di determinati esiti in linea con i nostri desideri (il concetto di “autoefficacia di Albert Bandura).
Un altro concetto che ha a che fare con la gestione di situazioni che causano sofferenza, ma che non è da considerarsi propriamente un sinonimo dei coping è la capacità metacognitiva di “Mastery”.
La Mastery racchiude un insieme di abilità che ci permettono di utilizzare le nostre conoscenze e capacità metacognitive per favorire la risoluzione di problemi e il padroneggiamento degli stati di sofferenza.
Parliamo dunque di una sorta di padronanza percepita sia a livello cognitivo che emotivo, grazie alla quale è possibile mantenere un livello di attivazione (arousal) coerente con il raggiungimento dei nostri scopi e favorire il raggiungimento di uno stato di gratificazione o di benessere.
Le strategie di Mastery sono state definite secondo tre livelli, di ordine crescente di sofisticatezza:
- Livello I: strategie che non richiedono il reclutamento di particolari capacità autoriflessive.
Lo strumento adottato per il riottenimento della quiete mentale può essere il corpo, per esempio attraverso attività fisica o uso di sostanze (alcol, caffeina, tabacco, farmaci, sostanze stupefacenti…), oppure l’evitamento della situazione temuta o la ricerca di vicinanza e presenza di un’altra persona (sentire o vedere un amico/a). Le strategie appartenenti a questo livello permettono una fuoriuscita dallo stato di sofferenza piuttosto rapida, ma non consentono di, comprendere maggiormente sè , gli altri o il problema stesso. - Livello II: strategie che richiedono un livello maggiore di riflessività, come ad esempio la capacità di valutare le proprie attitudini e tendenze all’azione e successivamente imporsi di agire o, viceversa, inibire volontariamente un comportamento. A questo livello appartiene anche la capacità di modificare il focus della nostra attenzione e concentrazione rispetto al problema, per esempio entrando in uno stato di mindfulness (attenzione al “qui ed ora”).
Il secondo livello prevede anche il coinvolgimento delle proprie competenze interpersonali, entrando in relazione con gli altri, cercando apprezzamento e approvazione. - Livello III: per gestire e regolare la sofferenza emotiva si utilizzano abilità e competenze metacognitive di alto livello (complesse, flessibili, adattive) che permettono una riflessione sui propri processi mentali e quelli altrui. Queste strategie sono fondamentali per riuscire a gestire problematiche interpersonali, che richiedono lettura e conoscenza della mente dell’altro, ed eventualmente la flessibilità nel cambiare la propria opinione. Inoltre, permettono di individuare e accettare i nostri limiti e quelli altrui e consentono una previsione verosimile delle nostre decisioni e azioni su di noi e sugli altri.
Bibliografia:
- Rafaeli E., Bernstein D., Young J., “Schema therapy. Fondamenti di base e differenza della terapia cognitiva”, Istituto di Scienze Cognitive Editore, 2013
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Arntz A., Jacob G., “Schema therapy in azione: teoria e pratica”, Istituto di Scienze Cognitive Editore 2013